15 set 2012

Mezzogiorno e futuro



La vera domanda da porsi è…: se veramente, esiste ancora, una questione meridionale. Cioè, se ancora oggi nel terzo millennio, si possa parlare di una questione e se, con l’idea di un federalismo alle porte, si debba ritenere il Mezzogiorno come una faccenda ancora da risolvere. Poiché, se così fosse, non si potrebbe azzardare alcun progetto di federalismo che possa coinvolgere insieme la nostra Nazione. In poche parole: non sarà facile costruire un sano sistema che si voglia unito, se non si equilibra quel divario ancora esistente tra il nord ed sud del nostro Paese.
Ogni forma di progetto di federazione può rimanere utile se nel contempo si opera un piano strategico che veda un coinvolgimento pieno del Governo centrale e della Comunità Europea al fine di poter apprestare giuste ed indispensabili infrastrutture per il sud. Questa strada rende anche necessario il metodo con cui si affronta oggi un sistema di regioni federate, che non può vedere un’esclusiva applicazione di misure fiscali, ma anche amministrative ed istituzionali, tenendo in considerazione la storia, la cultura e le risorse delle singole regioni.


    Breve analisi storica

Al fine di dare più senso a questo importante argomento, è opportuno un cenno storico sulle motivazioni che diedero origine alla questione meridionale.
Nel passato la questione meridionale fu un grande problema nazionale dell'Italia unita. Il problema riguardava le condizioni di arretratezza economica e sociale delle province annesse al Piemonte nel 1860-1861. L’abolizione degli usi e delle terre comuni, le tasse gravanti sulla popolazione, la coscrizione obbligatoria e il regime di occupazione militare, creò nel sud una situazione di forte malcontento.
Da questo malcontento vennero fuori alcuni fenomeni: il brigantaggio, la mafia e l’emigrazione al nord Italia o all’estero. Dopo l’unità d’Italia vi fu un rigetto nei confronti del governo da parte della povera gente del meridione. Un rigetto che si manifestò fra il 1861 e il 1865 con il noto fenomeno del brigantaggio.
Il brigantaggio era localizzato in alcune regioni del sud dove bande armate di fuorilegge iniziarono vere e proprie azioni di guerriglia nei confronti delle proprietà dei nuovi ricchi. I briganti si rifugiavano sulle montagne ed erano protetti e nascosti dai contadini poveri; ma ricevettero aiuto anche dal clero e dagli antichi proprietari di terre che tentavano, per loro mezzo, di sollevare le campagne e far tornare i Borboni.
I briganti non furono "criminali comuni", come pensava la maggioranza al governo, ma un esercito di ribelli. Tenuti per secoli nell'ignoranza e nella miseria, i contadini meridionali non avevano ancora maturato una conoscenza politica dei loro diritti e quindi non avrebbero mai potuto agire con mezzi legali. La politica di repressione adottata nei confronti dei briganti fu durissima. Il fenomeno venne debellato nel 1865. Ma le conseguenze furono un ulteriore aumento del divario fra nord e sud e un’esaltazione dei briganti la cui figura venne paragonata, nell’immaginario popolare, a quella di “eroi buoni”.
A seguire venne poi il fenomeno dell’emigrazione. Una volta debellato il brigantaggio le condizioni economiche e sociali dell’Italia meridionale non migliorarono. Anzi, il fenomeno dell’emigrazione si manifestò in maniera consistente a causa delle difficili condizioni di vita nel sud Italia.
Un fenomeno che aveva un chiaro motivo occupazionale. La difficoltà di trovare lavoro e di raggiungere un tenore di vita se non dignitoso almeno accettabile, portò ad un’ondata migratoria sia verso il nord Italia sia all’estero. 
Questo ci fa comprendere quanto l’emigrazione fu una logica conseguenze della mancata risoluzione, da parte dei governi italiani, della questione meridionale.
Vi furono diversi intellettuali ed uomini della politica che analizzarono le cause e denunciarono la questione meridionale. Fra i più importanti lo storico socialista Gaetano Salvemini. Egli denunciò l'arretratezza del Mezzogiorno  paragonandola al decollo economico avviato nel nord soprattutto da Giolitti. Quest’ultimo venne da lui definito “il ministro della malavita” per il cinismo con cui, con l’aiuto della mafia, approfittava dell’arretratezza e dell’ignoranza del sud per raccogliervi consensi. Ricordiamo che Gaetano Salvemini pubblicò sull'"Avanti" un articolo contro Giovanni Giolitti accusandolo di aver incentivato la corruzione nel Mezzogiorno.
Ma Salvemini considerava l’industrializzazione come estranea al fenomeno ed alle condizioni economiche e geografiche del sud e avrebbe, invece, voluto che si valorizzasse la vocazione agricola del meridione. Salvemini avrebbe quindi sperato che il governo promuovesse la vocazione agricola del sud Italia. Chi teneva in quel momento le redini del Paese tuttavia non fu dello stesso avviso e agì a modo suo optando per leggi speciali e per interventi localizzati.
Da quel momento, con l’uso delle leggi speciali, si procedeva verso un sistema di sostentamento verso il meridione, quasi sottovalutando l’importanza di favorire uno sviluppo logico. E’ un momento storico che caratterizza il “problema” dello sviluppo del mezzogiorno, ponendolo sotto forma di  una “questione”.
Le leggi speciali prevedevano la concessione degli sgravi fiscali alle industrie e l’incremento delle opere pubbliche. Questo portò ad una crescita della spesa statale che andò ad alimentare i ceti improduttivi e parassitari. Tali ceti garantivano voti alla maggioranza al governo e in cambio ricevevano appalti di opere pubbliche insieme ad altri favori. Al nord, invece, si andava sviluppando una gestione capitalistica delle aziende agricole che aveva nel Piemonte e nella Lombardia le regioni trainanti. Questo modello gestionale ha sempre previsto l'investimento di cospicue quantità di denaro per l'ammodernamento costante degli strumenti di produzione delle aziende agricole con la conseguenza di un costante incremento della produzione e la progressiva meccanizzazione del lavoro. Un sistema che veniva incentivato dalle politiche liberiste in vigore nel Piemonte sabaudo contribuendo a sviluppare una borghesia imprenditrice, disposta ad investire parti consistenti dei propri profitti per l'ammodernamento delle imprese che aveva sempre teso ad estinguere i comportamenti tipici dell'aristocrazia terriera, la quale fondava la propria ricchezza su posizioni di rendita.
La situazione nel meridione d'Italia, si era sempre presentata in modo opposto. L'agricoltura non aveva mai conosciuto alcuna trasformazione di tipo capitalistico, dominando un tipo di organizzazione e di gestione di chiara origine feudale.
Alla media e piccola proprietà diffusa nel nord Italia si era contrapposta al sud l'immensa distesa del latifondo, di proprietà di una borghesia assenteista. I vastissimi appezzamenti di terreno venivano concessi in affitto ai contadini o coltivati facendo ricorso alle masse di braccianti, seguendo tecniche in uso da secoli. La borghesia meridionale non è mai stata disposta a reinvestire i propri profitti nelle imprese agricole, che pertanto rimanevano in condizioni di arretratezza produttiva rispetto al nord Italia.
L'annessione piemontese non aveva infatti portato per loro nessun miglioramento della situazione, lasciando immutati i rapporti di forza tra popolo e i ricchi borghesi proprietari della terra: dall'unità anzi erano venuti per loro solo danni.
La crisi agricola e l'assenza pressoché totale di sviluppo industriale resero dunque evidente il deficit economico meridionale e indussero intellettuali e uomini politici ad interrogarsi sui motivi di questa persistente arretratezza che non accennava a diminuire ma anzi sembrava amplificarsi con il trascorrere degli anni.
Molti furono tra politici, imprenditori, e uomini di pensiero ad occuparsi nel tempo delle problematiche inerenti il mezzogiorno d’Italia : Sonnino, Fortunato, Demarco, Nitti, Salvemini, Sturzo.
Don Luigi Sturzo fu uno dei più lucidi interpreti di questa realtà nei primi anni del novecento. Il fondatore del Partito Popolare sostenne la necessità di difendere e rafforzare la piccola proprietà contadina meridionale, in cui vedeva l’unica forza capace di opporsi con successo ai latifondisti assenteisti.
Sturzo intendeva favorire la nascita e lo sviluppo “di quel ceto medio economico, che era molto limitato nel mezzogiorno, e che era uno dei nessi connettivi più saldi della società.” Con questa politica egli si opponeva sia al conservatorismo di destra che al rivoluzionarismo di sinistra.
Se Sturzo in perfetta sintonia con l’ispirazione cattolica del suo partito rifuggiva la conflittualità di classe come strumento di trasformazione del Mezzogiorno, Antonio Gramsci si muoveva in direzione esattamente opposta. Il fondatore del partito comunista italiano s’ispirava ai principi rivoluzionari leninisti e agli esiti della rivoluzione russa per proporre la rivolta delle classi contadine come unico strumento di emancipazione del meridione. Con le riflessioni di Gramsci finiva la prima parte del dibattito sulla questione meridionale, perché il fascismo, pur approntando misure speciali per cercare di risolvere la situazione, non fu mai disponibile ad una pubblica e sincera disamina della questione. Solo con la nascita della Repubblica, il dibattito riprenderà vigore.
Sembra comunque esservi sempre stata una necessità di combattere il diffuso razzismo verso i meridionali  accusati spesso di pigrizia e indolenza e di sfatare il mito del sud come terra opulenta. L’arretratezza del meridione era, in passato, in parte dovuta alle difficoltà ambientali e concrete che dovevano affrontare i suoi abitanti, come i terreni argillosi e cretosi, le lunghe siccità, la malaria e l’isolamento geografico. Ovviamente si era tuttavia consapevoli che, questi argomenti,  non erano sufficienti per rendersi conto delle difficoltà in cui versava il meridione.


        ANALISI ODIERNA


Queste premesse storiche, non a torto, hanno indicato la logica per la quale il Sud non è potuto crescere e la ragione per la quale sia sempre stata accusata una certa borghesia meridionale per una precisa mancanza d’intraprendenza economica. Oggi, con la evidente situazione economica mondiale e le problematiche  conseguenti l’unificazione europea, tutto ciò risalta maggiormente.. destando naturali preoccupazioni.

Dopo l’ingresso del nostro Paese in Europa, il problema del Mezzogiorno non può che essere affrontato nel contesto più ampio di un Parlamento ed di un Governo Internazionale. Un problema che avrebbe, già da tempo, dovuto impegnare meglio le forze politiche governative del nostro Paese col fine di riuscire a soddisfare un primario bisogno di occupazione.

I forti contrasti regionali del nostro variopinto Paese hanno sempre richiesto una distinta autonomia locale attraverso l’uso di un federalismo amministrativo suggerito da un pensiero politico. Questa è anche la ragione per la quale può sembrare anomalo impegnarsi oggi in un federalismo fiscale trascurando l’aspetto amministrativo e storico culturale  di un sistema regionalizzato come il nostro.
Alcune Regioni del sud del Paese si trovano oggi in netto svantaggio rispetto ad altre e questo divario si sarebbe dovuto ridurre, sicuramente prima dell’ingresso del nostro Paese in Europa, con un’azione politica nazionale logicamente coordinata con le amministrazioni locali.

La fase di costruzione per l’unificazione non sta certo dando i risultati sperati. E’ venuta a mancare  quella azione preventiva e di studio che doveva mirare a salvaguardare le culture e le ricchezze naturali delle comunità meno progredite che vedono oggi aumentare il divario con i Paesi più ricchi.
Tra accordi quadro, contratti d’area, prestiti d’onore, contratti di programma, patti territoriali e la lunga serie di proposte che gli ultimi governi hanno continuato a sfornare, si è finito col non risolvere alla base il vero problema. In verità, il nostro Mezzogiorno rimane ancora privo di interventi studiati con metodo, utili e tecnicamente elaborati in base alle esigenze primarie delle risorse del territorio e delle poche infrastrutture operanti. Appare inutile la lunga serie di agevolazioni finora impiegate se non si interviene alla base con l’impegno necessario per la creazione dei servizi adatti allo stesso tessuto territoriale ed imprenditoriale.
Assai poco potrà interessare l’enorme flusso di denaro che potrà essere impiegato per un’azione di sviluppo che non sembra mai coordinata col giusto metodo e la opportuna responsabile conoscenza. 

Certe strane ed illogiche metodologie, a volte anche strumentali, sono esempi emblematici del cattivo funzionamento del nostro sistema a beneficio di un migliore sviluppo delle Regioni del Sud.
I Governi sembrano aver proceduto solo verso un “fine” ben preciso che apparendo sempre più un miraggio, è stato determinato unicamente  dal numero di posti per l’occupazione: Sarebbe illogico arrivare ad un “fine” considerato solo occupazione senza una specifica realtà produttiva che ne rappresenta il vero “mezzo” Risulta invece abbastanza logico che il giusto intervento, attraverso una chiara realtà economica, comporti una conseguente solida occupazione.

Tuttavia, nella fattispecie, si continuano a percorrere strade senza l’importante premessa di una specifica attività che miri ad una realtà produttiva più adatta al luogo e più ricettiva al particolare indotto. Nel passato di una prima repubblica, attraverso l’istituzione della Legge n°64, si è provato a fornire apposite strutture pubbliche, ma anche aiuti finanziari per tutti coloro che avessero voluto apportare nuove attività e lavoro nelle Regioni del meridione. Se le conseguenze da un lato sono state quelle di cercare di fornire infrastrutture poco adatte e non complete rispetto al resto del territorio nazionale, dall’altro lato, non avendo ben pianificato uno specifico studio preventivo, si è finito col dare spazio ad investimenti spesso insensati o non giustamente appropriati alle risorse del territorio.

L’apposita Cassa del Mezzogiorno che fu creata per una migliore progettazione e una spesa controllata, avrebbe potuto avere un ruolo importantissimo ancora oggi. La sua improvvisa scomparsa ha finito con arrecare maggior danno all’economia del Sud del Paese. Essa andava sicuramente ridisegnata per una migliore efficienza ed una minor presenza politica che ha finito, nel tempo, col crearvi un forte centro di potere.
Per il Sud abbiamo già assistito ad un falso e non appropriato sviluppo nel settore petrolchimico, oggi assistiamo ad uno sviluppo  supportato da una new economy spesso instabile dove sarebbero dovute servire strutture e conoscenze più adatte. Oggi si sfruttano spesso agevolazioni senza un vero arricchimento per il territorio. Agevolazioni che si prestano spesso a pura speculazione.

Bisognerebbe operare una volta per tutte scelte decisionali che appariranno certamente traumatiche ma indispensabili e comunque necessarie per un indirizzo che dovrà guardare ad un nuovo futuro. Un futuro che ha bisogno di idee e procedure appropriate. 
Si dovrebbero poter attuare procedure più costruttive anche se più lunghe, al fine di creare una economia valida senza inventarsi realtà occupazionali prive di qualunque realtà produttiva!-“Dalla efficacia delle azioni suggerite da idee adatte e scelte concrete, dipenderà l’efficienza qualitativa delle stesse imprese locali che rappresentano il vero avvenire di questa parte della Nazione”

Sarebbe doveroso, da parte di tutte le nostre forze politiche, esaminare con molta più attenzione l’insieme di queste problematiche, prima di proiettarsi in azioni che finirebbero col sortire i soliti effetti di tamponamento o che potrebbero suscitare  ulteriori reazioni sfruttate in seguito nelle campagne elettorali nel gioco esasperato di una bassa furbizia politica.
Il nostro Mezzogiorno dovrebbe richiamare l’attenzione di tutti ma potrà veramente sensibilizzare le forze politiche solo quando la stessa politica riuscirà a liberarsi dal profondo cinismo e dalla staticità nella quale si è assopita. Attraverso la dovuta attenzione ed un senso più etico di una politica libera dai vincoli, ci si potrà impegnare positivamente in un problema che non potrebbe mai esser risolto senza una equilibrata conoscenza delle risorse, della cultura e delle idee.


      

    UN METODO FUNZIONALE

       idee e valori territoriali

Le idee in proposito non vogliono apparire presuntuose, ma supportate da esperienze dirette di chi vive e lavora in questa parte del Paese
Non si può non manifestare una forte perplessità di fronte ad un delicatissimo problema che si continua ad affrontare con tale ostinata disinvoltura e che finisce come al solito col far illudere chi di lavoro ha veramente bisogno.

Sembra improponibile il continuo uso delle inutili metodologie che fin oggi non ha fatto che allontanare di più il Sud dalla forte e distinta realtà del nord. Metodologie che hanno sempre considerato il fine come “posti di lavoro”: Se il “fine” deve essere identificato nel numero dei posti di lavoro, non potrà che esservi in seguito una maggiore conseguente disoccupazione. 
Malgrado appaia tardivo oltre che aggravato da  infelici interventi del passato, si può provare ad operare in favore di uno sviluppo del meridione solo attraverso una procedura che comporta una serie di fasi indispensabili ma costruttive. Non si potrebbe perciò, affrontare un simile problema senza far uso del metodo, dei valori e di un preciso impegno.

Si sa bene che per far ciò occorrono delle idee, ma queste non possono non avere un riscontro con la realtà e dovranno perciò mirare alla creazione di una economia più attinente: ”lo sviluppo migliore di ogni Paese passa necessariamente attraverso il riscontro con le proprie naturali risorse, esse sono la base principale di un futuro processo economico proseguito dalla fattiva opera di chi poi vi lavora”.

Partendo da questa importante considerazione, dobbiamo tenere nel giusto conto che la prevalenza del territorio del Sud della nostra Nazione è naturalmente portato per ricevere turismo, per esportare prodotto agricolo ed ittico. Queste voci assieme ad alcuni prodotti tipici artigianali, dovrebbero rappresentare i settori principali da tenere in considerazione e potranno essere gli importanti indirizzi attorno ai quali sarà consequenziale costruire una serie di servizi a supporto che offriranno all’indotto altre occasioni per le più giuste attività. Considerata però l’eterna mancanza delle adeguate infrastrutture di base adatte a qualsiasi sviluppo, sarebbe obbligo del nostro Governo favorirne la realizzazione attraverso un immediato efficiente piano d’investimenti poiché qualunque incentivo non sarà mai in grado di compensarne la mancanza.

La ricetta migliore quindi non sembra quella di una legge che permette finanziamenti privati diretti verso l’illogica nascita di realtà produttive inutili, ma un intervento pubblico studiato al fine di realizzare infrastrutture adatte e più utili.

 “Il territorio è uno dei fattori su cui maggiormente si misura la competitività di un’area, ed il Sud non avendo adeguate infrastrutture, non potrà mai avere opportunità di sviluppo”: Grandi bacini - opere portuali ed aeroportuali - strade di collegamento - ferrovie - autostrade - opere di rimboschimento - depuratori – infrastrutture da diporto - impianti appositi ecc., sono le immediate opere in mancanza delle quali il nostro Mezzogiorno, non potrà mai vedere sbloccato il proprio avvenire. Queste opere di primaria importanza dovrebbero essere opportunamente studiate attraverso un coordinamento tra le Regioni pertinenti e la Presidenza del Consiglio ma anche con il controllo della Comunità Europea.
Si dovrebbero stabilire le scelte necessarie evitando spese superflue e per alcune di queste infrastrutture e per la loro gestione, si potrà fare uso di capitali privati attraverso la costituzione di società miste con le amministrazioni pubbliche.

Un intervento necessario dovrebbe anche essere quello dello smantellamento di alcuni squallidi impianti che non potranno più avere un futuro in questi Paesi dove il naturale clima ed il paesaggio spingono in direzione di ben altre attività. Se un primo intervento dovrà spingersi verso una ricerca per il riscontro più appropriato alle risorse delle singole Regioni del Sud e nel contempo verso l’individuazione e la realizzazione delle necessarie infrastrutture, il secondo potrebbe essere quello di spingere determinate aziende a credere di più nella propria attività con i necessari incentivi e non più con l’uso di contributi o finanziamenti agevolati.
Sarebbe opportuno riflettere su come abbia potuto incidere nelle abitudini del tessuto imprenditoriale di tutto il meridione, l’assurda procedura che ha offerto possibilità e grandi aiuti anche a chi non ha mai avuto una realtà produttiva o commerciale valida.

A chi volutamente ha usato la 488 per la nascita di realtà produttive improprie per il tessuto locale. Il tutto con l’aiuto di leggi operate dai governi succeduti che non si sono mai immedesimati in profondità nel problema, né nel merito, né nel metodo. Forme assistenziali e di sostentamento che dovrebbero essere portate ad esempio per l’inutile risultato prodotto all’economia di tutto il meridione ma anche per l’errata abitudine a cui sono stati educati molti cittadini.

Si dovrebbe per sempre sradicare l’assurda piaga culturale che ha mirato a garantire delle attività improduttive solo per il mantenimento di chi vi lavorava o per l’arricchimento di chi ne poteva approfittare. La nuova procedura  dovrebbe essere legata ad un dovuto intervento per l’organizzazione di conferenze, riunioni e dibattiti che possano meglio informare sia le forze imprenditoriali, sia i cittadini sul particolare studio e sulle preferenze in direzione del migliore sviluppo: Andrebbe incrementata con forza la cultura d'impresa, eliminando ogni tipo di intervento assistenziale perché ciò ha contribuito a diseducare giovani e meno giovani all'idea che il lavoro deve essere produttivo e che il prodotto deve essere competitivo sul mercato.

Non si dovrebbero più sostenere attività improduttive solo per garantire livelli occupazionali!
La nuova fase procedurale dovrebbe invogliare le utili e produttive attività ma anche individuare incentivi adatti, veloci, più efficienti ed un costo del denaro più consono al tessuto imprenditoriale di chi opererà nel Mezzogiorno. Mezzogiorno che, se pur attivato dalle indispensabili infrastrutture, necessiterà solo di una decisa spinta iniziale, come per un’auto che avendo ormai un buon motore ed una solida strada davanti a se, potrà continuare a correre con propria inarrestabile autonomia.

Si avrà forse uno sviluppo più lento ma decisamente più stabile e solido determinato all’inizio dal forte incremento di lavoro portato dalla miriade di cantieri operanti ai fini della realizzazione delle infrastrutture a carico dello Stato ed ove occorresse, con l’apporto del capitale privato. In questa fase saranno automaticamente coinvolte le forze lavorative dell’indotto facenti capo alle imprese locali mentre in una fase successiva, le stesse imprese, usufruendo delle nuove infrastrutture e dei necessari incentivi, cominceranno a marciare da sole senza più alcun aiuto da parte di uno Stato che non avrà ormai nessun obbligo a carico delle Regioni del Mezzogiorno.

Una procedura che troverebbe davanti diversi ostacoli e non ben vista nell’era del terzo millennio, un’era che ci vede ormai in una realtà economica mondializzata che, come tutti temiamo, difficilmente vorrà dare ulteriori opportunità alle regioni svantaggiate del Sud.
vincenzo Cacopardo