15 mag 2014

Una nota del Consigliere Cacopardo su "concertazione e consenso"

In questo contraddittorio avvio della nuova fase repubblicana, caratterizzato dalla conquista del potere da parte di un giovanissimo leader come Matteo Renzi, ci sono vari spunti positivi per il futuro del Paese, insieme a segnali preoccupanti sul personale di governo.
In positivo, va sottolineato il rifiuto del metodo della concertazione, una specie di tabù che aveva improntato l’azione del centro-sinistra e, in qualche modo, anche alcune fasi dei governi Berlusconi.
Molti ricordano l’esegesi della concertazione più volte effettuata dal quel presunto padre della Patria che risponde al nome di Carlo Azeglio Ciampi, dopo una delle tante ammucchiate di sindacati e governo nelle quali si decideva tutto e non si realizzava nulla.
C’è un robusto canapo che lega il metodo della concertazione ai peggiori vizi nazionali, primo fra tutti quella corruzione di cui periodicamente esplodono gli epifenomeni. È il canapo che, brutalmente, possiamo chiamare ricatto.
Tutto nasce durante la prima Repubblica nella quale la Democrazia Cristiana presidiava il governo e il Partito comunista il sindacato, la cooperazione rossa, oltre al proprio elettorato e, strada facendo, una cintura di regioni rosse senza sì e senza ma (Emilia Romagna, Umbria e Toscana). Accadeva, quindi, nel mezzo dello scontro politico frontale, che l’Italia fosse impegnata nella realizzazione di qualche grande opera, nella quale, secondo una proporzione definita, era prevista la partecipazione delle cooperative di produzione e lavoro emiliane (le altre, a quei tempi, non esistevano).
Con queste intese sotto banco, venne realizzato il sistema autostradale e la ferrovia veloce Firenze-Roma, voluta dal ministro Mariotti, un personaggio a torto dimenticato, visto che fu anche l’autore della prima riforma sanitaria con l’introduzione del Servizio sanitario nazionale.
In questo modo vennero realizzate le autostrade siciliane, con un patto con il mondo cooperativo dagli effetti devastanti sul medesimo Pci isolano. Tanto che Roma inviò Pio La Torre con l’incarico di recidere i relativi sotterranei legami economici: e questa, per chi sa, sarebbe la ragione del suo assassinio, a opera della mafia fortemente interessata al sistema delle imprese di costruzione e, pertanto, ai rapporti di alleanza con la medesima cooperazione.
Un grande sacco avvenne dopo il terremoto di Napoli e della Campania del novembre 1980. Per la gestione della ricostruzione, sindaco di Napoli Valenzi del Pci, si costituì un tavolo informale al quale partecipavano Dc, Pci, Psi (che rappresentava anche gli interessi del Psdi) e Pli. Questa cupola politica emerse chiaramente nelle successive inchieste giudiziarie, risparmiando solo, pour cause, il Pci, il cui leader locale, Bassolino​, continuò a imperversare indisturbato su Napoli e la Campania.
È in questi pactasceleris che nasce la propensione generale a utilizzare la concertazione e il consenso come occasioni di un ricatto surrettizio che allargò il proprio perimetro mano a mano che entravano in scena nuovi soggetti, dai Verdi a tutti gli altri. Ed è in questi pactasceleris  che si fondano tante relazioni illegali della seconda Repubblica, tanti accordi sottobanco tra la destra e la sinistra, mediante il mondo della cooperazione.
Per uscirne, occorre proseguire sulla strada delle autonome decisioni delineata da Matteo Renzi e combattuta da tanta parte del Pd (lucro cessante) e da alcuni vegliardi autonominatisi protettori dell’Italia.
Comunque, a parte Renzi, il mondo va avanti e così va avanti la coscienza degli italiani: sarà difficile tornare indietro riesumando le vecchie logore ipocrisie.  
domenico Cacopardo 


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